info@studiociulli.com
(+39) 070.652.279 (Cagliari) / (+39) 063.221.852 (Roma) / (+39) 024.802.6613 (Milano)

Single Blog Title

This is a single blog caption

Il caso Ranstad: la Corte di giustizia conferma l’intangibilità del giudicato amministrativo.

Con sentenza del 21.12.2021 resa nel caso C-497/20, Randstad Italia S.p.A., la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito che non contrasta con il diritto unionale l’impossibilità per l’organo giurisdizionale supremo di uno Stato membro di annullare una sentenza pronunciata in violazione di tale diritto dal supremo organo della giustizia amministrativa di detto Stato membro. La Corte ha altresì precisato che detta intangibilità non pregiudica la possibilità per i soggetti lesi da una siffatta violazione di chiedere il risarcimento da parte dello Stato membro interessato.

Si ricorderà che la nota vicenda giudiziaria che ha originato la richiesta dell’intervento interpretativo dei giudici del Kirkhberg da parte della nostra Corte di Cassazione era scaturita da una banale esclusione da un bando di gara. L’ASL della Valle d’Aosta aveva indetto una procedura di gara per un appalto pubblico, al fine di individuare un’agenzia per il lavoro cui affidare la somministrazione temporanea di personale. La società Randstad Italia SpA figurava tra gli offerenti che avevano partecipato a tale procedura. A seguito della valutazione delle offerte tecniche, la Randstad era stata esclusa perché la sua offerta non aveva ottenuto il punteggio corrispondente alla soglia di sbarramento fissata. La Randstad aveva proposto un ricorso di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale, da un lato, a contestare la propria esclusione dalla procedura di gara e, dall’altro, a dimostrare l’irregolarità di tale procedura. Il ricorso era stato dichiarato ricevibile, ma è stato respinto nel merito. Tuttavia, adito in appello, il Consiglio di Stato aveva constatato che i motivi diretti a contestare la regolarità della procedura avrebbero dovuto essere dichiarati irricevibili, essendo la Randstad priva della legittimazione a sollevarli. Esso aveva quindi riformato su tale punto la sentenza emessa in primo grado. La Randstad aveva impugnato tale sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, che, dopo aver evidenziato nel merito che il rifiuto da parte del Consiglio di Stato di esaminare i motivi vertenti sull’irregolarità della procedura di gara violava il diritto a un ricorso effettivo, ai sensi del diritto dell’Unione, evidenziava per contrasto che il diritto costituzionale italiano (come interpretato dalla Corte costituzionale) imponeva di dichiarare il ricorso promosso dalla Ranstad irricevibile. Infatti, contro le decisioni del Consiglio di Stato, il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione, mentre, nel caso di specie, il ricorso della Randstad era fondato su un motivo vertente su una violazione del diritto dell’Unione.
In tale contesto, la Corte di cassazione ha deciso di adire la Corte al fine di chiarire, in sostanza, se il diritto dell’Unione osti a una disposizione di diritto interno che, secondo la giurisprudenza nazionale, non consente al singolo di contestare, nell’ambito di un ricorso per cassazione dinanzi a tale giudice, la conformità al diritto dell’Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa.

Come visto, secondo la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, detto limite di sistema è conforme al diritto sovranazionale. Invocando il principio dell’autonomia procedurale, la Corte in sostanza ribadisce il suo consolidato orientamento secondo il quale, fatta salva l’esistenza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali per assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi dell’articolo 19 TUE. Allo stesso tempo occorre garantire che tali modalità non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (c.d. principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (c.d. principio di effettività). Il diritto dell’Unione, infatti, in linea di principio, non osta a che gli Stati membri limitino o subordinino a condizioni i motivi che possono essere dedotti nei procedimenti per Cassazione, purché tali due principi siano rispettati. Per quanto riguarda il principio di equivalenza, la Corte osserva che, nel caso di specie, la competenza del giudice del rinvio a trattare ricorsi avverso sentenze del Consiglio di Stato è limitata con le medesime modalità, indipendentemente dal fatto che essi siano basati su disposizioni di diritto nazionale o su disposizioni di diritto dell’Unione. Di conseguenza, il rispetto di tale principio è garantito. Quanto al principio di effettività, la Corte ricorda che il diritto dell’Unione non produce l’effetto di obbligare gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che non esista alcun rimedio giurisdizionale che permetta di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione. A condizione che, nel caso di specie, il giudice del rinvio riconosca l’esistenza di un tale rimedio giurisdizionale, ipotesi che sembra ricorrere, è perfettamente ammissibile, sotto il profilo del diritto dell’Unione, che lo Stato membro interessato conferisca al supremo organo della giustizia amministrativa di detto Stato la competenza a pronunciarsi in ultima istanza, tanto in fatto quanto in diritto, sulla controversia, e impedisca, di conseguenza, che questa stessa controversia possa ancora essere esaminata nel merito nell’ambito di un ricorso per cassazione dinanzi all’organo giurisdizionale supremo dello stesso Stato. Pertanto anche il principio di effettività risulta rispettato e la Corte non rileva alcun elemento che consenta di stabilire che è stato violato l’articolo 19 TUE. La Corte precisa infine che tale conclusione non è in contrasto con le disposizioni della direttiva 89/665 che, nel settore particolare dell’aggiudicazione degli appalti pubblici, obbligano gli Stati membri a garantire il diritto a un ricorso effettivo. Tuttavia, entrando nel merito del contenzioso interno la Corte rileva che, alla luce del diritto a un ricorso effettivo garantito da tale direttiva e dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, il Consiglio di Stato ha erroneamente considerato irricevibile il ricorso della Randstad dinanzi ai giudici amministrativi. A tal riguardo, la Corte ricorda, da un lato, che è sufficiente, per dichiarare ricevibile tale ricorso, che esista una possibilità che l’amministrazione aggiudicatrice, in caso di accoglimento del ricorso, sia indotta a ripetere la procedura di aggiudicazione di appalto pubblico. Dall’altro lato, in forza di detta direttiva, il ricorso può essere proposto solo dall’offerente che non sia ancora definitivamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, e l’esclusione di un offerente è definitiva solo se gli è stata comunicata ed è stata «ritenuta legittima» da un giudice indipendente e imparziale. Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha violato tale norma, in quanto sia nel momento in cui la Randstad ha proposto il suo ricorso dinanzi al giudice di primo grado, sia nel momento in cui quest’ultimo ha statuito, la decisione della commissione di gara di escludere tale offerente dalla procedura non era ancora stata ritenuta legittima da detto giudice o da qualsiasi altro organo di ricorso indipendente.
Cionondimeno, in una situazione come quella della fattispecie in esame, in cui il diritto processuale nazionale consente, di per sé, agli interessati di proporre un ricorso dinanzi ad un giudice indipendente e imparziale e di far valere in modo effettivo dinanzi ad esso una violazione del diritto dell’Unione nonché delle disposizioni del diritto nazionale che lo recepiscono nell’ordinamento giuridico interno, ma in cui il supremo organo della giustizia amministrativa dello Stato membro interessato, giudice di ultima istanza, subordina indebitamente la ricevibilità di tale ricorso a condizioni che hanno l’effetto di privare tali interessati del loro diritto a un ricorso effettivo, il diritto dell’Unione non impone a tale Stato membro di prevedere, per rimediare alla violazione di tale diritto a un ricorso effettivo, la possibilità di impugnare, dinanzi all’organo giurisdizionale supremo, tali decisioni di irricevibilità adottate dal supremo giudice amministrativo.
A chiusura del suo ragionamento la Corte sottolinea che tale soluzione lascia impregiudicata la facoltà dei singoli che siano stati eventualmente lesi dalla violazione del loro diritto a un ricorso effettivo, a causa di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, di far valere la responsabilità dello Stato membro interessato, purché siano soddisfatte le condizioni previste dal diritto dell’Unione a tal fine, in particolare quella relativa al carattere sufficientemente qualificato della violazione di detto diritto.

Commenta