Corte di giustizia, Consiglio di Stato e Corte di Cassazione: il buono, il brutto e il cattivo. Il caso Randstad.
Con ordinanza n. 19598/2020 adottata il 7 luglio scorso (depositata il successivo 18 settembre) le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sottoposto alla Corte di giustizia tre questioni pregiudiziali relative alla compatibilità con il diritto dell’Unione europea dell’orientamento della Corte di Cassazione (che ha fatto seguito alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 6/2018) che esclude l’assoggettabilità delle sentenze del Consiglio di Stato in contrasto con il diritto unionale al vaglio della Corte di Cassazione per motivi di giurisdizione, nonchè della prassi giurisprudenziale del Consiglio di Stato che ha l’effetto di precludere all’impresa esclusa da una gara d’appalto la possibilità di sottoporre all’esame del giudice amministrativo di ultima istanza ogni ragione di contestazione dell’esito della gara.
Le Sezioni Unite hanno invocato l’applicazione del procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105 del regolamento di procedura della Corte di giustizia del 25.09.2012. Al ricorso, iscritto il 30.09.2020, è stato assegnato il n. C-497/2020.
Con il primo quesito si è chiesto alla Corte di giustizia se gli artt. 4, par. 3, 19, par. 1, TUE e 2, parr. 1-2, e 267 TFUE, letti anche alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostino ad una prassi interpretativa come quella concernente gli artt. 111, co. 8, Cost., 360, co. 1, n. 1, e 362, co. 1, c.p.c. e 110 c.p.a. – nella parte in cui tali disposizoni ammettono il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione – quale si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva che, modificando il precedente orientamento, ha rintenuto che il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosidetto difetto di potere giurisdizionale non possa essere utilizzato per impugnare le sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea (nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici) nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l’effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto sovranazionale che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione nonchè l’effettività della tutela giurisdizionale delle situzione giuridiche soggettive di rilevanza europea in contrasto con l’esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di giustizia, tenuto conto dei limiti alla autonomia procedurale degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali.
Ritenendo ammissibile il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giursdizione avverso le sentenze del Consiglio di Stato in contrasto con il diritto unionale come interpretato dalla Corte di giustizia, sarebbe incorente mantenere fermo un orientamento che contestualmente affermasse l’inammissabilità del ricorso per cassazione volto a censurare l’omissione immotivata del rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio o a sollecitare le Sezioni Unite ad utilizzare lo strumento di cui all’art. 267 TFUE, ritenuto il rimedio del risarcimento del danno per responsabilità dello Stato inadeguato, in quanto indiretto, succedaneo e sottoposto a rigide condizioni.
Pertanto, con il secondo quesito si è chiesto alla Corte di giustizia se gli artt. 4, par. 3, 19, par. 1, TUE e 2, parr. 1-2, e 267 TFUE, letti anche alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostino alla interpretazione e applicazione degli artt. 111, co. 8, Cost., 360, co. 1, n. 1, e 362, co. 1, c.p.c. e 110 c.p.a., quale si evince dalla prassi giurisdizionale nazionale secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per motivi attinenti alla giurisdizione, sotto il profilo specifico del cosidetto difetto di potere giursdizionale, non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie che implicano l’applicazione del diritto sovranazionale, omettono immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in assenza delle condizioni indicate nella pronuncia CILFIT (C-238/81), che esonerano il giudice nazionale di ultima istanza dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione europea le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa e costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia e nella corretta e vincolante interpretazione del diritto unionale.
Con il terzo quesito si è chiesto alla Corte di giustizia se i principi dichiarati dalla Corte di giustizia con le sentenze 5 settembre 2019, Lombardi, C-333118; 5 aprile 2016, Puligienica, C-689/13; 4 luglio 2013. Fastweb, C¬100/12, in relazione agli artt. 1, par. 1 e 3, e 2 par. 1, della direttiva 89/665/CEE, modifìcativa dalla direttiva 2007/66/CE, siano applicabili nella fattispecie che è oggetto del procedimento principale, in cui, contestate dall’impresa concorrente l’esclusione da una procedura di gara di appalto e l’aggiudicazione ad altra impresa, il Consiglio di Stato esamini nel merito il solo motivo di ricorso con cui l’impresa esclusa contesti il punteggio inferiore alla soglia di sbarramento attribuito alla propria offerta tecnica e, esaminando prioritariamente ricorsi incidentali dell’amministrazione aggiudicatrice e dell’impresa aggiudicataria, li accolga dichiarando inammissibili (e ometta di esaminare nel merito) gli altri motivi del ricorso principale che contestino l’esito della gara per altre ragioni (per indeterminatezza dei criteri di valutazione delle offerte nel disciplinare di gara, mancata motivazione dei voti assegnati, illegittima nomina e composizione della commissione di gara), in applicazione di una prassi giurisprudenziale nazionale secondo la quale l’impresa che sia stata esclusa da una gara di appalto non sarebbe legittimata a proporre censure miranti a contestare l’aggiudicazione all’impresa concorrente, anche mediante la caducazione della procedura di gara, dovendosi valutare se sia compatibile con il diritto dell’Unione l’effetto di precludere all’impresa il diritto di sottoporre all’esame del giudice ogni ragione di contestazione dell’esito della gara, in una situazione in cui la sua esclusione non sia stata definitivamente accertata e in cui ciascun concorrente può far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di procedere alla scelta di un’offerta regolare e all’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, alla quale ciascuno degli offerenti potrebbe partecipare.