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Clausole abusive nei contratti con i consumatori. La Corte di giustizia infligge un altro duro colpo al principio del giudicato.

Con distinte sentenze emesse il 17 maggio scorso nella causa C-600/19 Ibercaja banco, nelle cause riunite C-693/19 SPV Project 1503, C-831/19 Banco di Desio e della Brianza e al.,e nelle cause C-725/19 Impuls Leasing România e C-869/19 Unicaja Banco, la Corte di giustizia dell’Unione europea, riunita in Grande Sezione, si è espressa su varie domande di pronuncia pregiudiziale presentate da giudici spagnoli, da giudici italiani e da un giudice rumeno, vertenti sull’interpretazione della Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, ribadendo che i principi processuali nazionali non possono ostacolare i diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione.

In buona sostanza la Corte è stata chiamata a stabilire se i principi processuali nazionali, come quello della res iudicata, possano limitare i poteri dei giudici nazionali, in particolare dell’esecuzione, quanto alla valutazione dell’eventuale carattere abusivo di clausole contrattuali ovvero, in altri termini, se i principi di diritto processuale interno che non consentono tale valutazione in sede di esecuzione, anche d’ufficio da parte del giudice dell’esecuzione, per via dell’esistenza di decisioni giurisdizionali nazionali precedenti, siano compatibili con la direttiva 93/13.

In via preliminare e generale, dopo avere sottolineato l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia nell’ordinamento giuridico unionale sia negli ordinamenti giuridici nazionali al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici sia una buona amministrazione della giustizia, la Corte ha ricordato che il sistema di tutela istituito con la direttiva 93/13 si fonda sull’idea che il consumatore si trova in una posizione di inferiorità nei confronti del professionista per quanto riguarda sia il potere negoziale sia il livello di informazione e che la regola generale e imperativa che sancisce l’inefficacia delle clausole abusive nei confronti dei consumatori mira principalmente a sostituire all’equilibrio formale del contratto un equilibrio reale. Inoltre, la Corte ha precisato che il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e che gli Stati membri sono obbligati a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive. Considerato che, almeno in linea di principio, il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale, esse soggiacciono al principio dell’autonomia procedimentale, ma le disposizioni procedurali nazionali devono informarsi al principio di effettività, ossia devono assolvere un’esigenza di tutela giurisdizionale effettiva. A tale riguardo, la Corte ritiene che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non possa essere garantito. Sulla base di tali considerazioni preliminari la Corte ha pronunciato le sentenze in commento, giungendo all’affermazione del principio di diritto anticipato in premessa.

Per quanto segnatamente concerne le cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza e al., giova ricordare che le domande sono state presentate nell’ambito di controversie che vedono contrapposti, da un lato, la SPV Project 1503 Srl e la Dobank SpA, in quanto mandataria dell’Unicredit SpA, a YB e, dall’altro, Banco di Desio e della Brianza SpA e altri istituti di credito a YX e ZW, in merito a procedimenti di esecuzione forzata basati su titoli esecutivi che hanno acquisito autorità di cosa giudicata. I giudici italiani dell’esecuzione si sono interrogati sul carattere abusivo della clausola penale e della clausola che prevede un interesse moratorio dei contratti di finanziamento, nonché sul carattere abusivo di talune clausole dei contratti di fideiussione, poiché è su tali contratti che i creditori hanno ottenuto decreti ingiuntivi divenuti definitivi. Nel solco tracciato da questi legittimi interrogativi i giudici hanno rilevato che in caso di mancata opposizione da parte del consumatore, l’autorità di cosa giudicata di un decreto ingiuntivo copre il carattere abusivo delle clausole del contratto di fideiussione, e ciò anche in assenza di qualsiasi esame espresso, da parte del giudice che ha emesso tale decreto ingiuntivo, del carattere abusivo di tali clausole.

Così posto il problema, la Corte ha concluso nel senso che una tale normativa nazionale può privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali. Conseguentemente, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell’esecuzione possa valutare, anche per la prima volta in sede di opposizione all’esecuzione, l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione.

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