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La Corte di giustizia si pronuncia sulla pratica del framing.

Con sentenza del 9 marzo scorso, resa nella causa C-392/19 VG Bild-Kunst/Stiftung Preußischer Kulturbesitz, la Corte di giustizia ha definito le condizioni di liceità del framing ovvero quando questa pratica richiede l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, perchè costituisce la messa a disposizione dell’opera protetta ad un pubblico nuovo, ai sensi dell’art. 3, par. 1 della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione.

Il framing può essere definito come una ipotesi particolare di linking (sul quale vedi la sentenza della Corte di giustizia del 13.02.2014, resa nella causa C-466/12 Nils Svensson e a. / Retriever Sverige AB), che consiste nell’inserimento della pagina linkata all’interno della struttura del sito linkante. Più precisamente, la tecnica del framing consiste nel dividere una pagina di un sito internet in più riquadri e nel visualizzare in uno di essi, mediante un link cliccabile o un link internet incorporato, un elemento proveniente da un altro sito, con la conseguenza che per gli utenti di tale sito non è sempre possibile individuare l’ambiente di origine al quale appartiene l’elemento inserito nel riquadro.

Il procedimento di fronte alla Corte di giustizia ha tratto origine dalla contrapposizione tra la Stiftung Preußischer Kulturbesitz, in avanti SPK, (una fondazione tedesca che gestisce la Deutsche Digitale Bibliothek, una biblioteca digitale dedicata alla cultura e alla conoscenza che mette in rete istituzioni culturali e scientifiche tedesche; il sito Internet di tale biblioteca contiene link a contenuti digitalizzati memorizzati sui portali internet delle istituzioni partecipanti) e la VG Bild-Kunst, una società di gestione collettiva dei diritti d’autore nel settore delle arti visive in Germania, che si avvale della SPK come vetrina digitale.

La VG Bild-Kunst ha subordinato la stipula con la SPK di un contratto di licenza d’uso del proprio catalogo di opere sotto forma di immagini in miniatura all’inserimento di una clausola in base alla quale la SPK si impegna ad adottare, quando utilizza opere di cui al contratto, misure tecnologiche efficaci contro l’impiego della tecnica del framing da parte di terzi delle miniature di tali opere visualizzate sul sito della Deutsche Digitale Bibliothek. Ritenendo che una simile clausola contrattuale fosse irragionevole alla luce del diritto d’autore, la SPK ha promosso un’azione dinanzi al Bundesgerichtshof (Corte federale tedesca) diretta a far dichiarare che la VG Bild-Kunst era tenuta a concedere la licenza in questione senza che tale licenza fosse subordinata all’adozione di misure volte a impedire il framing.
Il Bundesgerichtshof si è rivolto in via pregiudiziale alla Corte di giustizia chiedendole di stabilire se tale pratica di framing debba essere considerata una comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3, par. 1, della direttiva 2001/29, cit., con la conseguenza che la VG Bild-Kunst avrebbe il diritto di imporre alla SPK l’attuazione di tali misure protettive.

Nel risolvere la questione pregiudiziale sottopostale, la Corte di giustizia ha rilevato in primo luogo che la tecnica del framing costituisce un atto di comunicazione al pubblico ai sensi della direttiva 2001/29, cit., in quanto ha l’effetto di mettere l’elemento visualizzato a disposizione di tutti i potenziali utilizzatori di un sito Internet. In secondo luogo e per altro verso, essa ha evidenziato che la tecnica del framing utilizza la stessa modalità tecnica già utilizzata per comunicare l’opera protetta al pubblico sul sito internet originario, ossia quella di internet, cosicchè tale comunicazione non puoi dirsi di fatto rivolta ad un pubblico nuovo e, di conseguenza, non rientra nella nozione di comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2001/29, cit. (come similmente argomentato con riguardo alla tecnica del linking nella sent. Svensson, supra). Fatte queste premesse la Corte ha poi però precisato che tale ultima considerazione vale e si applica solo in una situazione in cui l’accesso alle opere protette sul sito internet d’origine non sia soggetto ad alcuna misura restrittiva. Infatti, in una situazione del genere, il titolare dei diritti ha autorizzato sin dall’inizio la comunicazione delle sue opere a tutti gli internauti. Per contro, quando il titolare dei diritti ha istituito o imposto sin dall’origine misure restrittive connesse alla pubblicazione delle sue opere (come ha fatto la VG Bild-Kunst nel caso in commento), egli non ha acconsentito a che terzi potessero liberamente comunicare le sue opere al pubblico. Al contrario, egli ha inteso limitare il pubblico che ha accesso alle sue opere ai soli utilizzatori di un particolare sito Internet.
Di conseguenza, la Corte ha concluso che quando il titolare del diritto d’autore ha adottato o imposto misure restrittive contro il framing, l’incorporazione di un’opera in una pagina internet di un terzo, mediante la tecnica del framing, costituisce una messa a disposizione di tale opera ad un pubblico nuovo e deve pertanto ricevere l’autorizzazione del titolare dei diritti interessati.

Secondo la Corte un approccio di segno contrario equivarrebbe a sancire una regola di esaurimento del diritto di comunicazione, privando il titolare del diritto d’autore della possibilità di esigere un compenso adeguato per l’utilizzo della sua opera.
Giova evidenziare in conclusione che la Corte ha altresì precisato che il titolare del diritto d’autore non può limitare il suo consenso al framing se non mediante misure tecnologiche efficaci, in assenza delle quali potrebbe essere difficile verificare se tale titolare abbia inteso opporsi al framing delle sue opere.

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