La Corte di giustizia mette la parola fine al caso del salvataggio della Banca Tercas.
Con sentenza del 2 marzo scorso, resa nella causa C-425/19P Commissione/Italia, Fondo interbancario di tutela dei depositi, Banca d’Italia e Banca Popolare di Bari SCpA, la Corte di giustizia ha definitivamente confermato l’annullamento della decisione con la quale nel 2015 la Commissione europea aveva dichiarato aiuto di Stato illegittimo l’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) a favore della Banca Tercas (istituto posto in amministrazione straordinaria a seguito di alcune irregolarità accertate dalla banca d’Italia) e che aveva di fatto aperto alla sottoscrizione di un aumento di capitale della stessa banca commissariata da parte della Banca Popolare di Bari SCpA (BPB).
Ricordiamo al riguardo che con decisione (UE) 2016/1208 del 23 dicembre 2015 la Commissione aveva considerato l’intervento del FITD a favore di Tercas, sia nella forma del contributo a fondo perduto sia nella forma della garanzia, come un aiuto di Stato incompatibile col mercato interno [aiuto di Stato SA.39451 (2015/C) (ex 2015/NN] e che in seguito (su ricorso dello Stato italiano, della Banca Popolare di Bari e dello stesso FITD, sostenuto dalla Banca d’Italia) Il Tribunale UE, con sentenza del 19 marzo 2019 (Italia/Commissione, T-98/16, T-196/16 e T-198/16) aveva annullato la decisione ritenendo che la Commissione non avesse sufficientemente dimostrato che le risorse utilizzate per il sostegno alla Banca Tercas fossero controllate dalle autorità pubbliche italiane e che esse fossero di conseguenza a disposizione di queste ultime.
Precisiamo che, data la natura privatistica del FITD, la Commissione aveva tentanto di dimostrare il controllo statale delle risorse utilizzate e l’imputabilità allo Stato dell’intervento di sostegno sulla base di quattro argomenti, riassumibili in sostanza come segue: 1. il FITD persegue di fatto un obiettivo pubblico (tutela dei risparmiatori); 2. il commissario straordinario di Tercas è un funzionario pubblico nominato e controllato dalla Banca d’Italia; 3. un rappresentante della Banca d’Italia partecipa alle riunioni del consiglio del FITD quale osservatore, il che le consente d’anticipare le sue riserve sul progetto di intervento; 4. spetta alla Banca d’Italia autorizzare l’intervento di sostegno.
Nel ripercorrere la sua consolidata giurisprudenza sul punto il Tribunale aveva rigettato le argomentazioni della Commissione ritenendo che essa non avesse sufficientemente dimostrato nella decisione impugnata che le risorse del fondo fossero controllate dalle autorità pubbliche italiane e che, di conseguenza, fossero a disposizione di queste ultime. In altri termini, sulla base dei dati acquisiti, considerato che l’intervento del FITD a favore di Tercas era stato effettuato in conformità allo statuto di tale consorzio e nell’interesse dei suoi membri, utilizzando fondi esclusivamente privati, la Commissione non poteva concludere in ragione dei quattro elementi sopra sinteticamenti riportati che erano state in realtà le autorità pubbliche ad esercitare un’influenza dominante sul FITD, indirizzando l’uso di tali risorse per finanziare l’intervento contestato.
Con la sentenza in commento la Corte conferma sostanzialmente questo impianto argomentativo e per quanto concerne specificamente l’imputabilità alle autorità italiane dell’intervento, essa constata che il Tribunale non ha commesso errori dichiarando che gli indizi presentati dalla Commissione per dimostrare l’influenza delle autorità pubbliche italiane sul FITD non permettono di imputare il suo intervento a favore di Tercas alle autorità italiane. In particolare, secondo la Corte, il Tribunale ha applicato correttamente la giurisprudenza in forza della quale spetta alla Commissione dimostrare, sulla base di un insieme di indizi, che le misure in contestato sono imputabili allo Stato e, pertanto, non ha imposto alla Commissione un livello di prova più elevato relativamente all’imputabilità di un vantaggio allo Stato per il solo motivo che il FITD è un ente privato. Il fatto che l’ente erogatore dell’aiuto ha natura privata implica che gli indizi atti a dimostrare l’imputabilità della misura allo Stato sono diversi da quelli richiesti nell’ipotesi in cui l’ente erogatore dell’aiuto sia un’impresa pubblica e, a tale riguardo, l’assenza di un vincolo di capitale tra il FIDT e lo Stato è di sicura rilevanza.
La Corte ha altresì respinto l’argomento della Commissione vertente sul rischio di elusione della normativa in materia di unione bancaria. La Commissione sosteneva a tale proposito che il rifiuto di imputare alle autorità statali l’intervento di un ente quale il FIDT a favore di una banca a capitale privato comporterebbe un rischio di elusione dell’art. 32 della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, che prevede l’attivazione di una procedura di risoluzione nel caso in cui un ente creditizio necessiti di un sostegno finanziario pubblico straordinario corrispondente a un aiuto di Stato. A tale proposito la Corte rileva che la qualificazione di una misura adottata da un sistema di garanzia dei depositi come aiuto di Stato idonea a far scattare tale procedura di risoluzione resta possibile, in funzione delle caratteristiche di detto sistema e della misura in questione.